Vendola: “Sull’Ilva tentano di uccidermi ma non mi rassegno”

Nichi Vendola
Nichi Vendola

Non mi sono sottratto alle domande dei giornalisti, anche su questioni che sono oggetto di apprezzamento da parte dell’autorità giudiziaria. Penso rientri nel mio dovere di uomo pubblico.

Ma in queste ore sto subendo il tentativo, bene orchestrato, di far slittare la vicenda Ilva in un processo di piazza, un processo senza prove, senza dibattimento e con una sceneggiatura già scritta. Questo processo non dà conto del fatto che per anni abbiamo combattuto in solitudine la battaglia dell’Ilva.

Una battaglia difficilissima perché il gigante doveva venire a patti, ma non doveva morire, perché morendo avrebbe cancellato ventimila posti di lavoro. Certo Riva era disabituato a ricevere dalla politica e dalle istituzioni qualsivoglia fastidio: solo bisbigli ma nessuna contestazione che toccasse il cuore del problema.

Tutti discreti, quasi muti. Noi abbiamo rotto il silenzio. Taranto entra ufficialmente nell’albo dei siti nazionali di inquinamento industriale nel 1990: nessuno si è mai chiesto perché nessuna autorità avesse mai collocato a Taranto una sola centralina che monitorasse gli inquinanti sputati dalla bocca del siderurgico?

Quei monitoraggi li facciamo noi. Raccogliamo i dati sull’inquinamento, che nessuno, sottolineo nessuno, aveva voluto certificare fino ad allora. Da quelle evidenze prendiamo le mosse per scrivere le leggi anti-inquinamento che tutt’oggi rappresentano la punta più avanzata della legislazione ambientale del Paese.

Peraltro, nessuno degli improvvisati giudici di piazza si pone la fatidica domanda: cosa avrebbe fatto lui al posto mio? Avrebbe sollevato le piazze per chiudere la fabbrica? Mi chiedo perché non l’ha fatto allora. Io invece rivendico di averci pensato e di aver deciso di non farlo. Perché sono stato eletto per migliorare la vita della mia comunità.

E la vita dei tarantini e dei pugliesi, non sarebbe migliorata chiudendo la fabbrica e cacciando nella disperazione ventimila famiglie. Sarebbe migliorata solo costringendo la fabbrica a diventare moderna. E questo – per me che non avevo i poteri della legge marziale o dell’esproprio proletario – passava attraverso la trattativa. Anche con chi consideravo il nemico.

Questo dovrò e vorrò chiarire ai giudici. Cui spetta di fare ogni domanda ed ai quali va dato atto di essere stati gli unici a rompere – credo definitivamente – la solitudine di cui parlavo.

Nichi Vendola
Nichi Vendola

Ma nel mondo dei processi di piazza, invece non c’è spazio per la trattativa con il nemico. Per il nemico c’è solo la morte. Fortuna che ogni giorno c’è un nemico da umiliare. Magari usando una conversazione intercettata, montata in modo suggestivo, commentata da una musica che fa il suo effetto, decontestualizzata e quindi usata come prova di colpevolezza.

La colpa di avere colloquiato con chi rappresenta la mia controparte: non che il mio interlocutore mi abbia donato denari e gioielli, non che io sia stato corrotto dai Riva, non che abbia volato sul loro aereo privato e che abbia partecipato alle loro feste: ma solo che io abbia cercato un dialogo con Ilva, senza mai, dico mai, fare il benché minimo sconto ai Riva. Chiedo: da una rottura con quella proprietà sarebbero giunti benefici per la fabbrica e la città, o solo la continuazione di un copione livido e cattivo? Ma qui non conta né l’Ilva né Taranto: conta la preda da sbranare, con i denti aguzzi del “sono tutti uguali” (anche se non è vero che siamo tutti uguali: chi non ha fatto nulla per il siderurgico è libero dal peccato, chi ha fatto tutto ciò che poteva è sotto accusa!).

Affronterò questa umiliazione con il coraggio della verità, anche perché sento il dovere di spiegare che ‘governare’ significa mettere in equilibrio interessi rilevanti, che qualche volta si contrappongono e tendono ad escludersi. Altrimenti dovrei arrendermi all’idea che si può governare cliccando il tasto ‘Mi Piace’.

P.S. Invece, non mi arrendo a ciò che mi è successo ieri.
Mentre col mio compagno cercavo di raggiungere la mia famiglia per il pranzo domenicale, chiuso a tenaglia all’interno della mia auto, sono stato assediato da una troupe di “Striscia la notizia”. Non mi sono sottratto neppure in questo caso alle domande. Ma credo che la violazione dello spazio privato della vita di ognuno sia un fatto sempre grave, credo che la speculazione e il sensazionalismo siano davvero il simbolo di una giustizia sommaria che divora tutto: la verità, la logica, la biografia delle persone. Tante volte abbiamo registrato, nel corso di questi anni, il progressivo imbarbarimento della vita pubblica in Italia. Spero che non ci si rassegni a questa deriva. Io non mi rassegno.

(via Huffingtonpost.it)