Minoranza assoluta, il voto ora e più vicino

di Micaela Bongi su il manifesto – 5 agosto 2010

Cita Foucault, rivendica appassionatamente la «libertà di sesso» conculcata con l’«aggressione giustizialista», denuncia un «network della sorveglianza» manovrato da «moralisti e voyeur» riuniti in un «rito tribale» per l’«ennesimo sacrificio umano». Il momento è grave, lo scontro fisico si è appena consumato fuori dalla porta, sul tabellone si stanno per accendere i numeri che confermeranno la fine di una storia. E Fabrizio Cicchitto non si tiene proprio più. Dai banchi del Pdl e della Lega si leva, rivolto al capogruppo berlusconiano, l’applauso liberatorio e incosciente. Ma, inesorabili, arrivano i numeri a certificare che Giacomo Caliendo resta sottosegretario alla giustizia, ma Berlusconi non ha la maggioranza assoluta.

Ieri no, domani chissà, lo deciderà quella che Casini chiama «area di responsabilità», il virtuale terzo polo. E soprattutto, lo deciderà quel pezzo di Pdl, ora Futuro e libertà, che della maggioranza era parte integrante e che il Pdl lo ha minato dalle fondamenta. A Pino Pisicchio, ex diniano ora rutelliano, l’onore e l’onere di annunciare per primo all’assemblea di Montecitorio, convocata per votare la mozione di sfiducia a Caliendo, che «qualcosa da oggi cambierà e sarebbe stolto far finta di niente». Si volta pagina e si parte verso rotte incerte fino a un certo punto. Perché come dice il ministro ex nazional-alleato «lealista» Altero Matteoli, e poco importa se la sua intenda essere l’ultima minaccia prima delle vacanze, «adesso le elezioni sono più vicine».

Ultimo giorno di votazioni alla camera prima delle ferie, e primo da governo sotto scacco permanente: l’obiettivo 316, i voti della maggioranza, è lontano. I sostenitori di Caliendo sono 299. La mozione di sfiducia raccoglie 229 favorevoli e gli astenuti (finiani, centristi, rutelliani dell’Api, Mpa) sono 75; in tutto 304 voti.

Primo giorno con il Popolo in libertà. Ai deputati e deputate del nuovo gruppo Fli non è stata assegnata un’area dell’emiciclo. Capita così che la presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno, finania doc, sai seduta tra Niccolò Ghedini e Nicola Cosentino. E che, trovandosi ancora gomito a gomito, gli ex nazional-alleati rimasti con il Cavaliere e quelli partiti al seguito del presidente della camera si trovino in grande disagio.

Non regge la tensione Marco Martinelli, un omone che con Fini andava pure a fare le immersioni ma che è rimasto nel gruppo del Pdl. E così, mentre il leghista Marco Reguzzoni sta svolgendo la sua dichiarazione di voto e di fedeltà a Silvio Berlusconi, e non si parli di governi tecnici o similari, dopo un’animata discussione (si vocifera che l’argomento fosse il rimborso spese per alcuni pullman) Martinelli butta in faccia al finiano Aldo Di Biagio la scheda per votare. Prima di passare alle mani direttamente in aula, Martinelli e Di Biagio escono da una porticina nella parte aula dell’emiciclo. E improvvisamente i commessi, in fila indiana, salgono di corsa le scale uscendo dalla stessa porta per evitare il peggio. I due rientrano trafelati e un altro finiano, Raisi, che prova a placare gli animi, racconta al berlusconiano Maurizio Lupi l’accaduto mimando mani alla gola e attimi di impazzimento. Tocca proprio a Fini, dallo scranno più alto, richiamare Martinelli, che ricambia con un fugace saluto romano e torna a infilare la porta urlando davanti ai cronisti «sono delle merde, sono delle merde».

Torna una calma apparente, unita al desiderio di chiudere in fretta questa giornata e ripensarci l’8 settembre, quando la camera tornerà al lavoro. Ora sono tutti concentrati, non c’è Caliendo, che segue il dibattito in tv dal suo studio, ma i banchi del governo sono al gran completo. E ancora nervosismo e euforia, tifo da stadio e mimica in abbondanza. Quella del ministro di giustizia Angelino Alfano che aveva commentato gesticolando senza sosta l’intervento di Antonio Di Pietro che parla di P3 ma pure di P2 e a quanto si narra Caliendo davanti alla sua tv la prende piuttosto male.

Gesti e biglietti, come quello che Silvio Berlusconi, prima del suo ingresso teatrale, fa recapitare a Cicchitto chiedendogli di insistere, nel suo imminente, pirotecnico intervento, su quanto ha fatto il governo per la legalità e contro la mafia. Lo scrive, il cavaliere, dopo che il capogruppo del Pd Dario Franceschini ha entusiasmato i suoi dicendo che chiedere le dimissioni del sottosegretario non è giustizialismo, perché il punto è che «si scopre un sistema malato, basato su collusione politica-affari, sul senso dell’impunità e dell’onnipotenza», ma «chi vince le elezioni ha l’onore di fare il servitore dello Stato, non il padrone». E Franceschini invita il premier, ancora assente, a riflettere sul perché nel ‘94 sul palco c’erano Berlusconi, Casini e Fini, e ora c’è solo lui. Il presidente della camera resta impassibile, Casini dal canto suo ha già detto che «alle ultime elezioni eravamo soli ma oggi la compagnia e più folta» e «le nostre carte le abbiamo messe sul tavolo da tempo» (ma magari anche più di un tavolo…).

Manca poco alla chiusura della giornata di passione con l’ovazione a Silvio, e poi la tensione potrà allentarsi. Ma settembre è vicino, e per il Pd una cosa è chiara: per tornare al voto serve una nuova legge elettorale. Ma figurarsi, il voto anticipato non spaventa nessuno nel partito, assicura Franceschini, perché «il Pdl ridotto com’è in brandelli perderebbe».

(Fonte: Federazione della Sinistra)