Referendum Costituzionale

Stavolta No, caro Prodi

Marta Fana
Marta Fana

Caro Prodi, per quanto lei si consideri assolto rimarrà per sempre coinvolto.

Non solo di questo voto a favore di una riforma che è, nella natura, al limite dell’eversivo. condotta da un governo e un capo del suo partito (ha ancora la tessera?) che sta usando tutte le armi più becere per vincere, perché lei cretino non è, lei lo sa che a Renzi interessa solo vincere. Lei lo sa che la riforma è fondata su un’idea di governo autoritario.

Ma a lei, delle nostre vite non frega proprio niente.

E la dico così, semplice semplice. E sa perché? perché io vorrei che mi capissero tutti, anche quelli che non hanno studiato, anche quelli che non sono abituati ai linguaggi da pseudo colti. Sono gli stessi di cui a voi non è mai fregato niente, sono quelli che avete venduto prima con l’euro e ora con Renzi.

A lei non cambia niente se vince il No o il Sì, lei è al sicuro.

Noi no.

Lei non ha neppure l’onestà di dire che vota una riforma voluta da chi prima abolisce l’articolo 58 della Costituzione e poi manda in televisione una scheda elettorale per l’elezione del Senato la cui legge elettorale non esiste. Chi sprezza le istituzioni e l’intelligenza dei cittadini. Lei sta votando questo, ma appunto a lei che importa? A casa stanno tutti bene?

Noi no.

Noi siamo stanchi, siamo tesi, sentiamo il nervosismo e la tensione delle strade. Quell’irrazionalità diffusa che pesa, pesa e a volte fa anche un po’ paura. Sa, siamo quelli che il suo ministro dell’economia chiamò “bamboccioni”, molti di noi hanno smesso di andare a scuola, qualcuno ha perso due dita sotto una pressa mentre era pagato a voucher, molti sono disoccupati. Qualcuno sta facendo un dottorato. Altri a mille euro al mese non ci arrivano più. Sa qualcuno è tornato in provincia perché pagare l’affitto in città con questi salari era ormai impossibile. Però si ricorda, l’Imu sulla prima casa è stata tolta. Non hanno neppure reintrodotto la tassa sulle successioni. Non so se ha letto, ma siamo tra i Pasi Ocse, il terzo più diseguale. Lei forse, molto forse, non faceva più politica. Noi ci provavamo, ci proviamo tutt’ora, però non ci intervistavano, non ci intervistano.

Sa, quelli come noi hanno studiato a fondo questa riforma e temono solo una svolta autoritaria, non i mercati, consapevoli che i problemi dell’Italia sono altri. Un paio glieli ho raccontati. Noi non temiamo i mercati, noi votiamo liberamente. Votiamo per la democrazia e votiamo perché noi in fondo nelle istituzioni ci crediamo.

Lei sposterà molti voti, forse, e la gente penserà che ha ragione perché ha la faccia pulita, un’espressione docile. Però sa, dietro alla sua faccia bonacciona ci sono quelle scalfite dalla fatica, ci sono quelle sporche di grasso, esistono i bassifondi che le vostre facce rassicuranti hanno provato ad eliminare dall’immaginario collettivo. Sa, alcuni vivono nelle sue zone, vicino Piacenza. Fanno i facchini. Uno è pure morto mentre faceva un picchetto. Era un immigrato e difendeva i suoi colleghi, alcuni immigrati altri no.

Sa, lei potrà usare il suo nome per evitare una discarica sotto casa.

Noi no.

Forse non gliel’ho mai detto: io nel centrosinistra non ci ho mai creduto, anzi l’ho sempre temuto perché non è mai stato dalla parte dei più deboli, mai nella profonda sostanza. E non è un caso che da voi sia partita la profonda offensiva ai diritti dei lavoratori, e io questo me lo ricorderò a vita.

Noi siamo come quelli, addetti alla nostalgia, che la domenica delle salme accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia, mentre voi siete sempre stati quelli che hano annientato la politica col pensiero unico, lasciando nient’altro che i segni di una pace terrificante.

E sì, Prodi, lei ha insieme a molti altri la responsabilità storica di questa deriva che viene da lontano, che avete costruito lentamente. E in fondo siete anche coerenti voi nel votare sì, voi che avete preferito la stabilità dei prezzi ai diritti dei lavoratori. La velocità del capitale alla lentezza dei rapporti sociali.

Vorrei che fosse chiaro da che parte sta lei, casta, e da che parte stiamo noi, popolo che vorrebbe essere libero, anche dai vostri diktat.

#StavoltaNO

Marta Fana

Noi diciamo NO

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Appello per la Costituzione e per la Democrazia

Care, cari,
il 4 dicembre saremo chiamati a scegliere se accogliere o respingere la Riforma Costituzionale del Governo Renzi che modificherebbe in maniera corposa l’assetto delle Istituzioni, la forma di governo, la natura della nostra democrazia. Noi, avendola letta e studiata a questa riforma diciamo NO e vi invitiamo a fare lo stesso: non esistendo il quorum ogni voto può essere decisivo.
Il nostro è un NO di merito, anche se il clima avvelenato innescato dallo stesso capo di governo sarebbe sufficiente per bocciare un intervento così pesante sulla Costituzione.
La Riforma crea un Parlamento asservito al Governo: il mix tra riforma costituzionale e legge elettorale fa sì che il partito che vince il ballottaggio pur con una bassa rappresentatività (purché abbia anche solo un voto in più del secondo) si aggiudica 340 seggi, ovvero la maggioranza assoluta alla Camera, l’unica a dare la fiducia al Governo. La Riforma non abolisce il Senato, elimina la possibilità che sia eletto dai cittadini.
Il nuovo Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal Capo dello Stato. In questo modo 95 amministratori avranno un doppio lavoro, l’immunità parlamentare, una diaria, il rimborso forfettario delle spese generali da sommarsi al rimborso delle spese per l’esercizio di mandato. Il problema non è solo nel costo (il decantato risparmio, ancora da verificare, si aggira intorno ai 50 mln di euro, molto meno della spending review promessa e mai effettuata dal Governo Renzi). Non è solo una questione di costi: la riforma così innescata comporta la creazione di un Senato la cui composizione è destinata a variare costantemente ad ogni elezione regionale o comunale che coinvolga i rappresentanti locali con doppio incarico.
Il procedimento legislativo, in barba ai proclami di velocità e semplificazione, si complica – si contano fino a 10 procedimenti differenti – e contribuisce ad accentrare potere nelle mani del Presidente del Consiglio che, oltre a disporre del Parlamento che diventa sua appendice, può, con l’istituto del “voto a data certa”, garantire una corsia preferenziale ai disegni di legge del governo.
Ma c’è un elemento che più di altri compromette la qualità della nostra democrazia: il nuovo articolo 117 C ridisegna le competenze dello Stato e delle Regioni attribuendo molti poteri allo Stato, dall’energia alla tutela di ambiente e paesaggio, e introduce la ‘clausola di supremazia’ per cui le Regioni potranno essere scippate di qualsiasi competenza in nome di un discrezionale ‘interesse nazionale’ (grandi opere, gasdotti, ponti, trivellazioni).
La Riforma Renzi Boschi é stata voluta dalle grandi banche e dalla finanza speculativa che pretendono riforme istituzionali per ridurre il peso dei parlamenti e dei cittadini, per poter applicare le politiche di austerità, privatizzare acqua, scuola, sanità e servizi essenziali, precarizzare il lavoro senza i vincoli che derivano della sovranità popolare. Noi diciamo No e vi chiediamo di fare lo stesso perché vogliamo cambiare radicalmente l’Italia, a partire dalle condizioni di vita e di lavoro di milioni di cittadini e cittadine. E basterebbe applicare i principi fondanti della nostra Costituzione per incominciare a farlo.
Per questo il 4 dicembre vi chiediamo di votare NO, per non accentrare il potere nelle mani di pochi, per tutelare la nostra democrazia, la nostra Casa Comune. I governi passano, le Costituzioni restano.

E’ una questione di democrazia
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La Costituzione trattata come una Legge ordinaria
INTERVISTA A STEFANO QUARANTA*

Quaranta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qual è la portata politica di questo referendum?
Questo referendum viene ‘venduto’ come una modifica della Costituzione che comporta semplificazione, velocità e riduzione dei costi della politica. Così non è e dirò perché.
Il significato politico però è molto semplice: accentramento dei poteri sul governo, a scapito degli elettori privati del diritto di voto per il Senato, a scapito del Parlamento perché chi sarà abilitato a legiferare sarà il Governo e a danno degli enti locali perché la riforma del titolo V e la clausola di supremazia prevedono nei fatti uno spostamento di poteri dagli enti locali al Governo nazionale.

Il nuovo articolo 117 ridisegna completamente le competenze dello Stato e delle Regioni. Quali le ripercussioni di questa modifica?
Siamo passati dall’essere tutti regionalisti nel 2001 a prevedere invece oggi un accentramento di poteri a livello statale. Il tutto senza aver previsto una Riforma delle Regioni.
Rispetto a questo aspetto, la Riforma è stata fatta male e per due ragioni. La prima: una serie di poteri che dovrebbero essere di competenza nazionale, dall’agricoltura all’industria, non lo sono. Mentre altre, legate alla conoscenza di un territorio, come ambiente e tutela del paesaggio, sono portate su una competenza di livello nazionale. E’ una scelta contraddittoria.
E poi tutte le competenze che non sono comprese né nell’elenco nazionale né in quello regionale sono di competenza regionale quindi alla fine si crea una grande confusione oltre che una enorme contraddizione per cui si fa il Senato delle autonomie e al tempo stesso si tolgono poteri alle Regioni.

Il fronte del Sì sostiene che la Riforma renderà il paese più moderno, lo omogeneizzerà e premierà le Regioni più virtuose. Cosa rispondi?
In maniera generica il Governo sostiene che questa riforma darà stabilità al paese, velocizzerà e semplificherà. Sono solo buone intenzioni che non hanno poi nessun riscontro nella Riforma.
In Italia la velocità non esiste come peculiare ‘problema’ dal punto di vista istituzionale. In Italia si fanno leggi come negli altri Paesi europei, come in Francia o Germania. Anzi il problema è opposto, in Italia si fanno troppe leggi. Il tema della velocità è un tema politico, non istituzionale.
Quello che i cittadini percepiscono come mancanza di velocità nell’approvazione delle leggi non riguarda le istituzioni o la Costituzione, riguarda la volontà politica. Potendo fare una battuta: Renzi non può dire che non sono mai state fatte tante riforme come durante il suo Governo e contemporaneamente sostenere che bisogna cambiare i 47 articoli della Costituzione perché il sistema è inefficiente.
La semplificazione non esiste, perché questa Riforma complica il tutto.
Il Senato non sappiamo bene come sarà eletto sappiamo solo che non sarà eletto dai cittadini, la composizione poi è farraginosa. Sarà composto da dopolavoristi tra sindaci e consiglieri, ex Presidenti della Repubblica e senatori a vita. Poi non si capisce bene come funzionerà, dicono che si riunirà 1-2 volte al mese ma al contempo indicano tempi strettissimi,10 giorni, per impugnare una legge approvata dalla Camera.
Rispetto alla instabilità dei Governi, altro mantra del fronte del sì, non c’è un problema di instabilità legato al cattivo funzionamento delle istituzioni. Il problema è politico, legato alla dinamica interna ai partiti, per esempio l’ultimo Governo Letta è caduto perché Renzi, divenuto segretario del Pd, ha deciso di sostituirlo.

Possiamo sostenere che la Riforma cambia la forma di governo?
Da un lato la Riforma aumenta i poteri del Governo. Il Governo tende di fatto ad accaparrarsi il potere di legiferare. Con l’istituto del voto ‘a data certa’ il Governo ha una corsia preferenziale per legiferare. Secondo la clausola di supremazia il Governo ha la possibilità di scippare qualunque potere alle Regioni in nome dell’interesse nazionale, totalmente discrezionale.
Si aggiunge poi la legge elettorale che con l’elezione, nei fatti, diretta, del Premier, e con un Parlamento compiacente – che invece di controllare il Premier viene controllato dal Premier stesso-, costruisce un Governo più forte del Parlamento.
Il fronte del sì dice che la contrarietà alla Riforma Renzi non è accompagnata da una proposta alternativa. Cosa si sarebbe potuto fare?
Intanto questo Parlamento, eletto con il Porcellum, poteva fare solo piccoli interventi e solo largamente condivisi.
Il nostro gruppo parlamentare aveva proposto, durante la discussione della Riforma, la riduzione dei parlamentari (400 deputati e 200 senatori), pensata in maniera equilibrata, tra Camera e Senato, mantenendo la loro eleggibilità. E aveva proposto di differenziare le funzioni delle Camere (il voto di fiducia al Governo solo alla Camera dei deputati per esempio). Piuttosto che questo pasticcio sarebbe stato più utile il monocameralismo, che pure abbiamo proposto in una serie di emendamenti durante il dibattito parlamentare.

A chi giova questa Riforma?
Renzi non è l’ideatore di questa Riforma, Renzi è l’esecutore. I mandanti sono il Fondo monetario internazionale, JP Morgan, La Signora Merkel, il Governo degli Usa. L’accentramento di potere risponde a una idea di democrazia che non è la nostra. Per cui questa Riforma è emblema della crisi della democrazia che ha origini antiche.

Qual è il più grande bluff della Riforma?
Sono essenzialmente due, da un lato far credere, ed è la cosa più grave, ai cittadini che la qualità della nostra democrazia migliorerà modificando la Costituzione. Mentre il vero problema sono i partiti che non funzionano come dovrebbero e allontanano i cittadini dalla partecipazione. Andrebbero riformati i partiti e non la Costituzione.
Il secondo bluff è quello per cui si dice che sono anni che si aspetta questa Riforma quando invece sono state fatte tante Riforme della Costituzione ma sempre peggiorative (pareggio di bilancio, Titolo V). Questa Riforma anziché dare maggiore stabilità, darà maggiore instabilità, tanto che gli stessi proponenti sostengono che bisognerà fare degli interventi successivi, sia perché ammettono che la Riforma non è perfetta e ci sono tanti aspetti da modificare sia perché la stessa Riforma prevede che si facciano poi degli atti successivi.
Ma la cosa più insostenibile è che siccome le Costituzioni sono delle Carte supreme in cui tutti i cittadini devono potersi riconoscere, questa Riforma sarà messa in discussione dal primo Governo – non di centrosinistra – che dovesse vincere le elezioni. A prescindere dal merito, le Costituzioni possono essere cambiate solo se c’è una larghissima convergenza, non possono appartenere a una parte politica. Hanno fatto diventare la Costituzione una legge ordinaria, che chiunque, vincendo le elezioni, potrà modificare.
Modificando circa un terzo della Costituzione, quasi tutta la seconda parte, si modifica nella sostanza anche la prima, a incominciare dall’articolo 1. E tutto questo è stato fatto senza nessun mandato dagli elettori e ricattando il Parlamento, debole e delegittimato. Per tutte queste ragioni siamo al lavoro per la vittoria del No.

Intervista a cura di Sonia Pellizzari

*deputato Sinistra Italiana e componente del Comitato Esecutivo di Sinistra Italiana con delega Costituzione e democrazia.

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Il 4 dicembre siamo chiamati a votare per una revisione costituzionale scritta sotto dettatura dei mercati internazionali e delle grandi banche d’affari.

Si passa da un bicameralismo paritario a un bicameralismo confuso, con l’aggravante che i senatori non sarebbero più scelti dai cittadini ma dalle segreterie dei partiti e a tutti gli effetti coperti dai benefici e dai privilegi degli attuali senatori (a partire dall’immunità), con un risparmio irrisorio, pari ad una tazzina di caffè a testa.

Con il combinato disposto dell’Italicum, già in vigore, questa riforma è pericolosa per la stessa tenuta della stabilità democratica delle nostre istituzioni.

Basti pensare che l’Italicum, la seconda gamba di questo progetto di riforma istituzionale, prevede l’assegnazione del 54% dei seggi al partito di maggioranza relativa, anche se, per ipotesi, questo avesse preso solo il 20% dei voti, che considerando che oggi vota circa il 50% degli aventi diritto, corrisponderebbe al 10% dei consensi.

A questo partito di minoranza si darebbe la possibilità di eleggersi da solo il Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica, la maggioranza dei giudizi della Corte Costituzionale, compreso il Presidente, e una parte rilevante del Consiglio Superiore della Magistratura.

E se tutto ciò, insieme ad una Camera serva e ad un Senato inutile, in futuro fosse nella disponibilità di un uomo politico dalle idee antidemocratiche o di un pazzo, cosa potrebbe accadere?

Di questo e delle altre ragioni del NO parleremo giovedì 27 ottobre 2016 a Magenta con  due autorevoli relatori come l’On. Stefano Quaranta, componente della Commissione Affari Costituzionale della Camera dei Deputati, e l’avv. Marco Dal Toso, dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici.

L’iniziativa, moderata da Rino Scialò, coordinatore di Sinistra Italiana Est Ticino, si terrà presso l’ex Aula Consiliare del Comune di Magenta, in piazza Formenti 3, con inizio alle ore 21,00.

 

Sinistra Italiana Est Ticino

walter-tocciWalter Tocci, senatore PD, ecco cosa dice sulla revisione costituzionale voluta dal segretario del suo partito, Renzi:
“Si, per fare buone leggi valeva la pena di riformare il bicameralismo. Era meglio eliminare il Senato, imponendo alla Camera maggioranze qualificate sulle leggi di garanzia costituzionale; oppure si poteva specializzare il Senato come Camera di Alta legislazione, priva di fiducia, ma dedita alla produzione di Codici al fine di assicurare l’organicità, la sobrietà e la chiarezza delle norme. Erano soluzioni forse troppo semplici. Si è preferito invece un assetto tanto arzigogolato da pregiudicare perfino l’obiettivo della velocità”.

Fest SEL Brugherio, lunedì 18 luglio 2016
Ottimo intervento di Stefano Quaranta, deputato SEL, membro della Commissione Affari Costituzionali, che spiega con grande lucidità e chiarezza le ragioni del NO alla Riforma Costituzionale.

https://www.facebook.com/SELesticino/videos/941003026021807/

gazebo_costituzione_sedrianoE’ stata buona l’affluenza al gazebo organizzato dall’Anpi questa mattina (21 maggio) al mercato di Sedriano. Molta gente si è fermata ed ha firmato. Molti altri, interessati all’argomento, hanno chiesto materiale informativo per documentarsi bene, segno che gli argomenti usati da Renzi sulla modifica della Costituzione non convincono i cittadini.

Del resto come si può affermare che la nostra legge fondamentale è stata modernizzata, superando il bicameralismo perfetto, quando ciò non è assolutamente vero.

La modifica delle funzioni del Senato è stata fatta in modo assurdo, trasformandolo in un’assemblea di rappresentanti delle Regioni espressione dei partiti.

I cittadini non potranno più eleggere direttamente i senatori, non potranno più esercitare il loro diritto di scegliersi i propri rappresentanti. I senatori saranno eletti dai consigli regionali e saranno consiglieri regionali essi stessi e, in numero minore, sindaci. Come per le città metropolitane anche in questo caso si passa ad un’elezione di secondo livello, scippando ai cittadini il diritto di votare i propri rappresentanti nelle istituzioni.

Come si può modificare la Costituzione, scritta dai padri costituenti della patria, basandosi sulla logica del risparmio? E la democrazia, che fine fa?

Alcune leggi saranno bicamerali, altre monocamerali, emendabili dal Senato ma in maniera differenziata, perché gli emendamenti potranno essere respinti dalla Camera in alcuni casi a maggioranza semplice, in altri a maggioranza assoluta. Insomma, un gran pasticcio, con rischi di conflitti e confusione ben maggiore di adesso.

Inoltre il numero di firme necessarie per presentare leggi di iniziativa popolare viene triplicato, passando da 50 mila a 150 mila, rinviando ai Regolamenti Parlamentari le modalità di presa in esame di tali proposte, ben sapendo che con gli attuali regolamenti le leggi di iniziativa popolare rimangono nei cassetti e non arrivano mai in aula.

Insomma tutto il potere deve essere nelle mani del Governo e della sua maggioranza e non devono essere disturbati.

Se a tutto ciò aggiungiamo le storture della nuova legge elettorale, l’Italicum, che permette ad un partito che è espressione della minoranza degli elettori di prendersi la maggioranza dei parlamentari, di eleggersi anche il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, allora si comprende come ci sia effettivamente il rischio di una grave deriva autoritaria nel nostro sistema politico.

Proprio come vorrebbe la J. P. Morgan!

costituzioneRIFORMA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Appello dei costituzionalisti

Di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti, docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale, ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche.

Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo.

Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.

1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare («abbiamo i numeri») anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di Governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. È indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.

2. Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti – con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria – anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.

3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.

4. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia – che non possono mai essere separate con un taglio netto – ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza «esclusiva» dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole «disposizioni generali e comuni». Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.

5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del Cnel: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.

6. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore: tali la restrizione del potere del Governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Governo che ne caratterizzano l’indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata peraltro ad un indeterminato futuro) che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.

7. Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto. Inoltre, se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede – su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la Riforma in più progetti, approvati dal Parlamento separatamente).

Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma.

Aprile 2016

Francesco Amirante, magistrato;

Vittorio Angiolini, Università di Milano Statale;

Luca Antonini, Università di Padova;

Antonio Baldassarre, Università LUISS di Roma;

Sergio Bartole, Università di Trieste

Ernesto Bettinelli, Università di Pavia

Franco Bile, Magistrato

Paolo Caretti, Università di Firenze

Lorenza Carlassare, Università di Padova

Francesco Paolo Casavola, Università di Napoli Federico II

Enzo Cheli, Università di Firenze

Riccardo Chieppa, Magistrato

Cecilia Corsi, Università di Firenze

Antonio D’Andrea, Università di Brescia

Ugo De Siervo, Università di Firenze

Mario Dogliani, Università di Torino

Gianmaria Flick, Università LUISS di Roma

Franco Gallo, Università LUISS di Roma

Silvio Gambino, Università della Calabria

Mario Gorlani, Università di Brescia

Stefano Grassi, Università di Firenze

Enrico Grosso, Università di Torino

Riccardo Guastini, Università di Genova

Giovanni Guiglia, Università di Verona

Fulco Lanchester, Università di Roma La Sapienza

Sergio Lariccia, Università di Roma La Sapienza

Donatella Loprieno, Università della Calabria

Joerg Luther, Università Piemonte orientale

Paolo Maddalena, Magistrato

Maurizio Malo, Università di Padova

Andrea Manzella, Università LUISS di Roma

Luigi Mazzella, Avvocato dello Stato

Alessandro Mazzitelli, Università della Calabria

Stefano Merlini, Università di Firenze

Costantino Murgia, Università di Cagliari

Guido Neppi Modona, Università di Torino

Walter Nocito, Università della Calabria

Valerio Onida, Università di Milano Statale

Saulle Panizza, Università di Pisa

Maurizio Pedrazza Gorlero, Università di Verona

Barbara Pezzini, Università di Bergamo

Alfonso Quaranta, Magistrato

Saverio Regasto, Università di Brescia

Giancarlo Rolla, Università di Genova

Roberto Romboli, Università di Pisa

Claudio Rossano, Università di Roma La Sapienza

Fernando Santosuosso, Magistrato

Giovanni Tarli Barbieri, Università di Firenze

Roberto Toniatti, Università di Trento

Romano Vaccarella, Università di Roma La Sapienza

Filippo Vari, Università Europea di Roma

Luigi Ventura, Università di Catanzaro

Maria Paola Viviani Schlein, Università dell’Insubria

Roberto Zaccaria, Università di Firenze

Gustavo Zagrebelsky, Università di Torino

costituzioneIl referendum confermativo sulla riforma costituzionale si svolgerà probabilmente ad ottobre 2016. Sinistra Ecologia Libertà è impegnata a sostenere la campagna del Comitato per il NO alla legge costituzionale Renzi-Boschi.

Perché NO?

Perché prevede, in combinazione con le norme della nuova legge elettorale, uno sbilanciamento “maggioritarista” nell’architettura istituzionale molto pericolosa, che ha avuto inizio con le aspirazioni “golliste” introdotte in Italia da Berlusconi, è passato attraverso le suggestioni del premierato forte del Partito Democratico ed è giunto, nella forma prevista da Renzi, ad una visione monarchica della Repubblica.

Con questa legge siamo di fronte al tentativo di utilizzare strumentalmente la “deforma” costituzionale per incoronare plebiscitariamente Matteo Renzi a colpi di ricatti. L’ultimo è quello di Renzi stesso che dice “se perdo me ne vado”, come se la sua figura valga tanto quanto la Costituzione della Repubblica Italiana.

E’ questo il metodo che Renzi usa per riformare la Costituzione!

Ci impegneremo nella costituzione del Comitato per il NO nell’est ticino per contrastare, attraverso il referendum, le gravi violazioni ai principi costituzionali che unite alle norme dell’Italicum vogliono spingere l’Italia verso una gravissima deriva autoritaria.

Sel Est Ticino